Il Vangelo secondo Judah, dialogo tra misericordia e tradimento

Se Giuda non fosse stato un traditore, o non avesse voluto esserlo? Come sarebbe cambiata la storia degli ultimi millenni? E, soprattutto, se non avesse voluto, perché ha tradito Gesù? Quando l’ATP ha commissionato a Stefano Massini uno spettacolo, la richiesta era di creare un testo che avesse a che fare con le Sette Opere di Misericordia del Fregio robbiano. Ed ecco, dunque, la rappresentazione di un Giuda che è il più misericordioso degli Apostoli, che non vuole tradire ma è destinato a farlo, le cui scelte sono sottomesse a un disegno da cui non può fuggire.
È proprio il Fregio a dialogare, per tutta la durata de Il Vangelo secondo Judah (andato in scena il 18 giugno scorso, regia di Claudia Sorace, con Ugo Pagliai e Luigi Lo Cascio), con il testo di Stefano Massini e con le musiche di Enrico Fink, seguendo Giuda nel suo drammatico racconto: la nascita, già segnata dalla consapevolezza del suo destino, il battesimo nel Giordano, l’incontro con Gesù, la fuga dalla sua sorte che, però, inesorabilmente fa il proprio corso. Così Giuda tenta di scappare da se stesso, ma si ritrova a dialogare con Gesù, nato nel medesimo istante, e a morire insieme a lui, dopo averlo tradito e venduto.

ph Michelle Davis

 

Lo spazio occupato dai due attori è spoglio: già di per sé scenografico, lo Spedale del Ceppo è decorato solo dal Fregio robbiano, illuminato con una semplice luce bianca, e di tanto in tanto le campate vengono colorate da luci più o meno intense che seguono l’andamento della lettura e richiamano le immagini evocate dal testo. La piccola orchestra, composta dai docenti della Scuola Mabellini di Pistoia, è disposta lungo il confine di piazza Giovanni XXIII, ed esegue musiche che, a volte in completa sintonia e a volte in contrasto col testo, creano l’atmosfera in cui ambientare le scene evangeliche raccontate, seguendo al contempo le riflessioni intime del protagonista.
I due attori hanno fornito interpretazioni molto differenti – quella di Lo Cascio intima e musicale, quella di Pagliai più scandita ma comunque vivace – rendendo perfettamente l’idea della dualità che caratterizza Giuda: quella del traditore misericordioso, di colui che condanna Gesù senza volerlo, che fugge da sé stesso ma non può fare a meno di sentirsi partecipe del proprio destino. Ma la contraddizione è addirittura maggiore: Giuda è allo stesso tempo libero ed inserito in un progetto divino, e la sua unica vera libertà è quella di accettare il progetto che gli è stato destinato.
La vita di Giuda non è caratterizzata dalla crescita: consapevole della propria sorte già dal momento prima di nascere, «nell’età in cui tutti si credono eterni, io scoprii di non esserlo» scandisce Pagliai raccontando del battesimo del protagonista. La sua storia non è segnata da un rapporto con Dio, ma da una relazione con se stesso, con la propria duplicità, dando per scontato e quasi mai mettendo in dubbio il destino assegnatogli.
La domanda che attanaglia Giuda – più che una domanda, appunto, è una constatazione – dovrebbe interrogare anche il pubblico, rievocando l’idea che già gli antichi proponevano del Fato: siamo veramente liberi? Non si tratta di una libertà sancita dalla legge o da una carta costituzionale, ma di qualcosa di più profondo e insito nella nostra natura: siamo dotati di libero arbitrio o siamo sottomessi a una legge superiore, a un disegno prestabilito?
Il testo di Massini non fornisce una risposta: si potrebbe pensare che una predestinazione insormontabile sia stata assegnata solo a Giuda, partecipe del progetto divino di salvezza, e non a tutti gli uomini. Più che altro, ci porta a rivalutare la Storia e a mettere in dubbio i comportamenti dei suoi personaggi – forse uomini che hanno seguito un progetto prestabilito e non hanno agito di propria sponte, con una effettiva libertà.

ph Michelle Davis

Ciò che si avvicina più alla realtà dello spettatore, di ognuno di noi, non è tanto la riflessione su Giuda, quanto la riflessione di Giuda: la pesantezza di sentirsi parte di un progetto, la difficoltà di una vita che non è semplice ricerca di uno scopo, ma realizzazione di un fine già deciso. «Per un uomo solo una cosa è peggiore di non avere un compito, ed è scoprire di averlo. Nel mio caso sapevo adesso di avere una strada, ma ignoravo quale. Tutto guardava a un altare futuro, a cui sarei giunto per farmi immolare. Ma ignoravo come, ignoravo quando. Per cui tutto, d’ora innanzi, sarebbe stato solo un aspettare». In questo Giuda non è diverso da tutti gli uomini, certi di avere uno scopo ma dubbiosi su quale esso sia, assorbiti dalla certezza e dimentichi che «la vita è un fatto, non un progetto».

Credo non abbia senso, però, estraneare eccessivamente il testo dalla sua vera natura: un apocrifo raccontato dallo stesso Giuda, che è l’unico protagonista e il vero cardine dell’interpretazione: non è più Gesù al centro del racconto evangelico, la salvezza degli uomini adesso è legata alla scelta e alla pseudo libertà del quarto figlio di Iscariota. Il lavoro svolto da Massini sui Vangeli non canonici è profondo e ha come scopo, d’altra parte, quello di reinterpretare la figura di Giuda e metterla in relazione con la misericordia: non tanto quella divina, quanto quella del protagonista stesso e, forse, anche quella del pubblico, mosso a compassione verso un personaggio da sempre additato come “traditore” per antonomasia.

Lapo Ferri